Cos’è il disegno per un artista?
Per Cennino Cennini e Lorenzo Ghiberti il disegno era, monoliticamente, fondamento dell’arte sia pratico che teorico. Leonardo da Vinci riteneva che il disegno fosse il tramite diretto per accedere alla verità della natura. La forma autentica della mente. Per Michelangelo Buonarroti si trattava di una dimensione in cui l’idea, il concetto nella mente dell’artefice poteva esprimersi libero dai limiti concreti della materia in ogni sua possibile potenzialità. Per Parmigianino il disegno era una ossessione.
Nel Cinquecento, soprattutto per motivi legati all’emancipazione intellettuale dell’artista artifex, il disegno assunse una importanza concettuale fondamentale divenendo l’essenza primigenia dell’arte, il momento supremo della genesi dell’opera. Separata e diversa dalla sua esecuzione materiale.
Divenne il perno centrale nella formazione dell’artista, la quale era ormai (dal 1563 con la fondazione a Firenze dell’Accademia del Disegno per opera di Giorgio Vasari) demandata alle Accademie piuttosto che alle botteghe.
Giorgio Vasari, intriso di cultura neoplatonica, artista trattatista e fondatore della prima Accademia del Disegno della storia, sosteneva che esso rappresentasse “l’istessa anima degli intelletti”88 il “padre delle tre arti” e ad esso spettava la funzione di palesare concretamente l’idea dell’artista.
Francesco Zuccari, pittore della Controriforma fondatore e Principe dell’Accademia di San Luca a Roma (1593), enfatizzando l’aspetto metafisico della nozione di “disegno mentale” delle dottrine neoplatoniche, lo descriveva come la “Scintilla della Divinità” il “segno di Dio in noi”.
Il senso della trascendenza delle opere era tutto in questa profonda ed elaborata convinzione.
Zuccari ragionava sull’identità dell’Idea interiore di cui l’opera d’arte, attraverso il disegno, si faceva incarnazione nella materia.90 Quest’ultima riflessione assume, nel nostro caso, una doppia importanza poiché dà contezza: da una parte del punto di vista particolare di uno degli artisti che sappiamo aver influito in modo determinante nella cultura figurativa di Pietro D’Asaro; dall’altra rivela tutta una temperie culturale e filosofica, la weltanschauung di una delle “caste” intellettuali più potenti esistite tra il XVI e il XVII secolo, l’Accademia di San Luca.
Con queste considerazioni, meditate lungo il corso dei secoli da alcuni tra i più arguti interpreti della storia dell’arte e della letteratura artistica, ci accingiamo ad aprire una carpetta misteriosa intitolata «Vito D’Anna» custodita nel Gabinetto delle Stampe e dei Disegni della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis a Palermo.
Il taccuino, proveniente dalla Collezione Sgadari di Lo Monaco contiene, tra gli altri, un gruppo di dieci fogli di disegni che presentano la medesima attribuzione sul foglio di supporto di ogni disegno ma con grafia posteriore.
Una prima analisi tecnica registra che la dimensione dei fogli è pressoché identica, differisce soltanto di pochi millimetri e la tecnica usata è la penna su carta bianca o la penna e acquerello grigio o blu su carta bianca. Solo i primi due fogli presentano una numerazione: il n. 15 e il n.16.
Siamo venuti così alla problematica filologica di questa raccolta che ha impegnato e ancora impegna gli specialisti che si accostano allo studio dei fogli in questione.
Per tecnica, tratto e particolari ritenuti peculiari nelle composizioni pittoriche del D’Asaro si è ipotizzato che i disegni, ora intesi come bozzetti preparatori ora come studi di particolari, siano opera del maestro di Racalmuto.
Di «mano di un’artista conoscitore della cultura tardo manierista siciliana con tutto ciò che essa comporta».
Opera di pittore «che si muove nell’orbita del Salerno e del Vazzano» scrive Vincenzo Abbate accostando l’identità dell’ignoto artefice a Pietro D’Asaro a proposito dei due disegni raffiguranti Santa Rosalia che intercede per la città di Palermo.
In tutti e dieci i fogli analizzati, la lettura del segno grafico denota un tratto vivace, veloce e in alcuni casi leggerissimo. Sbrigativo ma non approssimativo.
In alcuni disegni l’organizzazione spaziale della composizione è più compiuta, ma sempre sintetica.
Ciò farebbe supporre che si tratti di premières pensées (primi pensieri), disegni che precedono generalmente l’opera finita.
Sono presenti come annotazioni di riferimento per l’autore, le ricadute chiaroscurali della luce tradotta in tratti di penna trasversali irradiati, in tutti i fogli, da una fonte collocata in alto a destra.
Analogamente alle pitture del D’Asaro il tratto continuo suggerisce il movimento, la linea racconta la dinamica della scena rappresentata. Le figurine piroettano con una certa mobilità espressiva. I volti, in queste ultime, non riescono a tradurre in disegno la visione che, tuttavia, è anticipata ed esemplata dal resto della silhoutte.
Le architetture a cui vanno ricondotti gli elementi architettonici presenti nei suoi dipinti, seppur abbozzate, sono risolte nel segno in parte indefinito e vibrano di pari dignità esecutiva ed ideativa delle figure.
Alle rovine di edifici ed edicolette figurate l’obbligo di scansionare su diversi piani prospettici lo sfondo.
Un aspetto che più di altri induce a confermare l’attribuzione di questi disegni al Monocolo, oltre all’inserto ricorrente dei putti aerei, è l’indugiare su piccoli particolari. Leziosità decorative insolite nell’economia di un disegno apparentemente essenziale.
La descrizione dei tronchi di albero, le rugosità e l’articolazione dei rami, connette alla visione artificiosa tipica del Manierismo, quell’amore per il dato naturale che sappiamo essere una delle caratteristiche più ricorrenti nella pittura del Monocolo.
Alla luce di quanto detto appare disarmante nella sua contemporaneità la riflessione di Edgar Degas sul disegno come espressione più diretta e spontanea dell’artista, una specie di scrittura: “rivela, meglio della pittura, la sua vera personalità”.