Blog400° Santab Rosalia

400° Santab Rosalia

CONOSCI L’INCREDIBILE STORIA DI SANTA ROSALIA?

Il nuovo libro di Anastasia De Marco, patrocinato dal collezionista e designer persiano M. Nasser Charles Ayazpour “Una trattazione colta ma non pesante, che ricostruisce cenacoli, datazioni, attribuzioni, fonti agiografiche; che cuce esami diagnostici e la trama del restauro ai particolari della foto in Hd. Volumi preziosi, non per tutti ma di tutti” (Gionale di Sicilia). 


IN OCCASIONE DEL 400° FESTINO DI SANTA ROSALIA la storica dell’arte di PAD Art District, Anastasia De Marco, ha scritto i testi e curato la grafica di questo innovativo libro di storia dell’arte, in cui alla descrizione storico critica dei dipinti si accostano le schede tecniche di restauro e le fasi di documentazione di fotografia diagnostica. 

Qui vi proponiamo l’introduzione storica alla descrizione storico critica della tela inedita di Santa Rosalia risalente al 1625, protagonista della pubblicazione. Vuoi realizzare un libro di storia dell’arte e non sai come fare? PAD sarà felice di farlo per te come piace a te.


SANTA ROSALIA. STORIA E DEVOZIONE.

Della personalità di Santa Rosalia si ha l’illusione di sapere tutto o quasi per come è eccezionalmente vasta la sua devozione. Eppure questa apparente abbondanza di notizie si rivela ingannevole in quanto, di sicuramente documentabile, c’è poco o nulla. Quest’ultima data si registra in un calendario in pergamena della Cappella Palatina, verosimilmente un quinterno proveniente da un breviario in uso nel XIV secolo, nel quale si annota al giorno 4 settembre “Natalis Sancte Rosalee, virginis, civis Panormitane”. Le fonti agiografiche sembrano ,tuttavia, concordi nell’attribuire allaSanta (nata probabilmente tra il secondo o terzo decennio del 1100) nobili origini che la collegano direttamente ad una delle più potenti dinastie reali del mondo medioevale, i carolingi.

Secondo la tradizione, Rosalia era figlia del conte Sinibaldo de’ Sinibaldi discendente di Carlomagno e signore, per real concessione di Ruggero D’Altavilla, dei territori di Quisquina e di Monte delle Rose (un esteso possedimento sito tra Santo Stefano di Quisquina e Bivona nella provincia di Agrigento) e della nobildonna Maria Guiscardi, imparentata con la corte normanna.

La facoltosa fanciulla, appena quattordicenne, dopo il commiato dalla regina Margherita di Navarra, avrebbe rifiutato ogni vantaggio e agiatezza della sua aurea discendenza per dedicarsi alla vita monastica e sfuggire ad un matrimonio combinato dal padre con il conte Baldovino. A questa remota tradizione, che la racconta monaca nel monastero del Santissimo Salvatore, va ricondotta tutta la produzione iconografica che la rappresenta in abiti basiliani. Da questo monastero si sarebbe recata poi verso le terre del feudo paterno per dedicarsi alla vita anacoretica. Il primo luogo in cui trovò naturale asilo fu la grotta della Quisquina, limitrofa alla montagna delle rose “[…] come un talamo da lei preparato per lo sposo celeste, affinché fosse il più appartato e sicuro dalle umane frequentazioni, per niente atterrita dalla totale solitudine né dagli spaventosi ululati delle belve e dei demoni”. Nella spelonca del Quisquino vivrà, amandola moltissimo, per 12 anni. Rosalia ritornerà per una breve visita presso la casa paterna nel quartiere Olivella a Palermo per poi rifugiarsi presso la grotta sul sacro Monte Pellegrino, luogo simbolo della sua devozione postuma, già a protezione di un antico altare dedicato alla Madonna. Assorta in preghiera davanti al Crocifisso, tentata dal diavolo, incoronata da rose e accompagnata dagli angeli fino all’Incoronazione da parte di Cristo come tramandatoci dal padre gesuita Giordano Cascini, al quale si deve l’agiografia e l’iconografia della Santa.

In quel luogo dove la frescura dell’acqua scorre dinamica tra le rocce e la capelvenere ondeggia impalpabile, Santa Rosalia vivrà visioni estatiche di straordinaria profondità fino alla sua morte.

Il nostro viaggio è partito dunque dalla Sicilia normanna dove già la Santuzza poco dopo la sua morte era venerata. Diversi documenti attestano una devozione ante XVII secolo. Primo fra tutti un diploma imperiale a nome di Federico II e redatto durante la reggenza dell’Imperatrice Costanza D’Altavilla, atto all’elencazione di alcuni terreni, con il nome di Sancta Rasalea, nel territorio dell’isola di Capo Rizzuto. Più incisiva è la documentazione offerta dal Milluzzi, storico ottocentesco, che ne attesta la devozione già tra il 1269 e il 1275 annotando il ritrovamento, nel 1629, di una antichissima trave nel Duomo di Monreale che presentava una pittura raffigurante, tra altri santi, Santa Rosalia a mezzo busto in abiti monacali e con il capo cinto di rose; recante con la mano sinistra una rosa sbocciata e con la destra il Rosario della Madonna. Ancora l’invocazione a Santa Rosalia, nel 1343, nel libro di preghiere della confraternita dei Disciplinati della chiesa di San Michele degli spagnoli.

Il viaggio, o meglio “l’acchianata” temporale verso la data memorabile del 1624, anno del famoso ritrovamento delle vere spoglie mortali di Santa Rosalia, prosegue passando per l’anno 1550 quando frate Girolamo Lancia, primo dei cosiddetti “Frati di S.Rosalia”, ottenne da Papa Giulio III, al secolo Giovanni Maria Ciocchi del Monte, il permesso di vivere nelle grotte adibite a celle di Monte Pellegrino. A Girolamo Lancia succedette poco dopo il monaco eremita Benedetto da San Fratello, poi divenuto Santo ed eletto dal Senato di Palermo tra i santi patroni della città. Pare che San Benedetto avesse iniziato a scavare nei pressi della grotta del Monte sacro in cerca delle spoglie mortali della Santa, quando ella gli apparve in sogno raccomandandogli di cessare le ricerche in vista di un pericolo più grave che attentava al popolo palermitano.

Non dubitare, che sì sana: fa voto di andare a monti pellegrino

Era il maggio 1624 quando il pericoloso morbo della peste divampò nella parte settentrionale della Sicilia. Si diffuse prima a Trapani e poco dopo a Palermo. Il morbo si ritiene fosse approdato con un Galeone proveniente da Tunisi, comandato da Maometto Cavalà, insieme ad alcuni contagiati e ad un ricco corredo di doni per il viceré Filiberto di Savoia. La città sgomenta e atterrita fu decimata dalla peste. Gli ammalati soverchiavano di gran lunga i soccorsi e nessuno veniva risparmiato dal dolore e dalla malattia. Vennero allestiti lazzaretti dalla Kalsa al Borgo Santa Lucia. Reali e mendicanti, argentieri e sacerdoti erano identici agli occhi della morte nera.

Disperati i frati ripresero le ricerche iniziate da San Benedetto incoraggiati dalla miracolosa guarigione di Girolama La Gattuta, una popolana infetta dalla peste che in punto di morte ebbe la visione salvifica di una monaca di bianco vestita che le diceva: “Non dubitare, che sì sana: fa voto di andare a monti pellegrino”. Insieme ai frati ed alcuni devoti, Girolama si recò sul monte dove ebbe altre due visioni. Nella prima ricevette la conferma della sua guarigione “Figlia, si vinuta a fare lo voto: si sana” nella seconda le fu indicato il luogo dove ritrovare le spoglie mortali della Santuzza. Era il 15 luglio 1624.

I contagi diminuiscono. Il 15 agosto dello stesso anno, la città ancora dilaniata dal morbo assume la Santa come protettrice. Intanto al viceré principe Filiberto, morto, si sostituì il Cardinale della Corona Spagnola, Arcivescovo di Palermo, Giannettino Doria. Nel mese di novembre il cardinale nominò una Commissione di teologi e medici affinché si pronunciassero sul ritrovamento del 15 luglio.

Decisiva fu la vicenda del saponaro Vincenzo Bonelli nel febbraio 1625, che dopo aver perso la moglie e la figliola a causa della peste, salì per togliersi la vita sul Monte Pellegrino. Lì fu colto dalla visione decisiva in cui la Santa gli mostrava il luogo esatto della sua sepoltura e la necessità per far cessare la peste a Palermo, di rivelare la visione al Cardinale Doria affinché ordinasse il riconoscimento delle sue spoglie mortali. Vincenzo Bonelli ritornato in città fece come la Santa gli aveva prescritto. Si confessò, si comunicò e rivelò tutto l’accaduto al sacerdote Pietro Lo Monaco. Il giorno dopo morì come predetto dalla Santa il giorno prima. “il Cardinale adunque, convocata la nobiltà e il Senato di Palermo, secondo la maniera prescritta dai sacri canoni, dichiarò quelle essere le vere ossa della loro Santa cittadina… Poi colle sue proprie mani consegnò in loro potere di parte in parte il corpo di S. Rosalia; che per allora non essendo spedita quell’arca maestosissima di centocinquanta libre di finissimo argento, dove al presente si custodisce, fu in una cassetta di velluto trinato d’oro e questa in un’altra piccola d’argento collocato, ma quando si portarono in processione, comparirono dentro un’Arca di cristalli finissimi di lucido argento vagamente adorni”. Si tratta della prima vara commissionata dal Senato di Palermo.
Nel giugno del 1625, in occasione del Corpus Domini, si svolse la prima processione in onore di Santa Rosalia. La peste, tra la moltitudine della folla anziché fomentarsi si spense miracolosamente. Acclamata dal popolo e dal Senato, quella Santa liberatrice bella come un giglio purissimo fu proclamata patrona principale della città che aveva salvato, insieme a santa Ninfa, Agata, Cristina e Oliva. Il Cardinale Doria dispose che le sue reliquie fossero custodite nella Chiesa Cattedrale.
L’attuale magnifica “vara” (in argento sbalzato, cesellato e fuso) risale invece al 1631. Disegnata dall’architetto del senato Mariano Smiriglio ed eseguita dai maestri, Giuseppe Oliveri, Francesco Ruvolo, Giancola Viviano, Matteo Lo Castro e Michele Ferruccio. Nel 1630 Papa Urbano VIII proclamò l’inserimento, nel Martiriologio Romano, del nome di Rosalia il 15 e il 4 settembre, rispettivamente il giorno del ritrovamento delle reliquie e la data di morte.
Da quattrocento anni si celebra a Palermo, ogni 15 luglio e ogni 4 settembre, la speranza della salvezza, la seconda opportunità concessa “per grazia ricevuta” dalla Santuzza al popolo palermitano.

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